referendum & referendum


giuseppe gavazza




Ho sempre inteso, e sostenuto, il referendum come strumento di consultazione popolare a partire dalla raccolta firme per indirlo. Il referendum del 17 aprile é il primo referendum italiano non nato da una raccolta di firme ma dalla richiesta di 9 regioni; questo ne cambia, a mio avviso il significato di consultazione popolare, inclusa la liceità dell’astensione.
Questo referendum nasce non da una base larga di cittadini (500.000 firme) ma con un fine politico (critica dell'attuale governo) come confermato esplicitamente da molti sostenitori del si. Gli stessi slogan puntano spesso sul fatto che votando si si dice no al governo Renzi.

Restando agli slogan: non é un referendum pro o contro le trivelle, le trivelle non c’entrano nulla. Si tratta invece di bloccare il rinnovo delle concessioni all’utilizzo di piattaforme esistenti. Evocare le trivelle (a partire dall’assonanza no-triv/no-tav) é fuori luogo: sarebbe come evocare lo spauracchio delle trivellazioni in un referendum per bloccare la concessione all’utilizzo di un tunnel automobilistico o ferroviario esistente da anni e non modificabile.

I numeri forniti dai favorevoli o contrari sono apparentemente contraddittori e difficili da interpretare; ho letto molto in proposito ed é complesso farsene un'idea precisa perché le percentuali ed i dati presentati sono diversi alla base e sottolineano, come ovvio e lecito, dati che, ad una lettura superficiale, sostengono le proprie tesi.
Ad esempio le percentuali degli idrocarburi estratti vanno dalla percentuale sul consumo nazionale a quella relativa all'estrazione totale delle concessioni dentro e fuori le 12 miglia dalla costa, a quelle relative all'estrazione nel mare Adriatico o nel Mediterraneo e su periodi diversi (annuali, pluriennali, ..) a quelle relative al totale delle estrazioni nazionali. Un dato significativo é la percentuale sul fabbisogno nazionale che oscilla, nelle diverse informative, tra il 3,5 e il 10%: in ogni caso non poco. Chi ha voglia e tempo può approfondire.
Inevitabilmente gli idrocarburi non estratti bloccando le piattaforme saranno acquistati altrove; una transizione verso le energie rinnovabile é in atto in Italia (e per ora rispetta e supera gli standard suggeriti dall'Europa) ma richiede anni. Tale acquisto di grandi quantità di idrocarburi (il corrispondente di circa 2 miliardi di tonnellate di gas) comporterà un esborso che si aggiungerà alle tasse non incassate sull'estrazioni (per ragioni di minimo non raggiunto molte piattaforme non pagano tasse, ma le tasse incassate sulle estrazioni delle concessioni interessate sono nell'ordine del miliardo di € annui) cifra non marginale, anche nei dati forniti dai pro si, che verrà recuperata con ulteriori tassazioni. Una strategia per avere una ragione di malcontento in più nei confronti del governo (a meno che il governo cada ed il problema delle nuove tasse sia del governo successivo).

Le immagini di petrolio nel mare e sulle nostre coste, usate massivamente nella campagna, sono discutibili: le piattaforme in questione in larga maggioranza (43 di 48) estraggono solo gas. Chi é favorevole al no sostiene che l'energia sostitutiva, in caso di vittoria dei si, a questo gas proverrebbe in grande parte da petrolio importato (il gas proviene principalmente dalla Russia e non sembra facile aumentare il flusso attuale, perlomeno non in tempi brevi) che arriverebbe nei nostri porti su petroliere; quindi il rischio di spandere petrolio nel nostro mare sarebbe superiore chiudendo le piattaforme. Mi sembra una tesi fondata e non ho letto smentite o contraddittori in merito dai sostenitori del si il che mi rinforza l'idea che si tratti di un'ipotesi realistica.

Molti posti di lavoro andranno perduti: i più fiduciosi e ottimisti sperano che questo porterà a creare nuovi posti corrispondenti nelle energie alternative, dando un segno di fiducia al governo che il si vorrebbe mettere in crisi. Credo che, in ogni caso, i nuovi posti nati da energie rinnovabili chiederanno molti anni per essere effettivi: probabilmente nel frattempo i giacimenti in questione saranno esauriti (si prevede meno di venti anni).

Non si é parlato molto di un altro referendum che ci sarà in autunno quello sulla riforma delle Camere. Un referendum con un valore politico diretto, non abrogativo (per la prima volta) ma confermativo e che potrà essere indetto, seguendo le regole della Costituzione, seguendo una delle tre vie previste: le 500.000 firme, le regioni (almeno 5), un quinto di una delle camere.
Sarà un referendum che, nel rispetto della Costituzione, non avrà bisogno di un quorum.
Il valore del referendum di aprile diventa quindi difficile da valutare nei suoi termini e nelle sue effettive conseguenze politiche perché a breve, con un estate di mezzo, verrebbe controbilanciato da un referendum di ben altro peso politico e mediatico, soprattutto se a volerlo sarà, come probabile perché conveniente, il governo stesso.

Secondo me, alla fine, questo referendum rischia di giocare comunque a favore del governo: se non raggiunge il quorum per ragioni ovvie; se raggiunge il quorum e vincono i no per ragioni ancora più evidenti. Se raggiunge il quorum e vincono i si, si aprirebbe una partita davvero politica, di quelle “di merda e sangue” : una calda estate, come tante dell'era DC, giocata a screditare una breve vittoria annunciata. Un'altra piccola gioiosa macchina da guerra o smacchiatrice di giaguari destinata a grippare per difetti di progettazione.



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