SAURO SAURO CI ACCOMPAGNA VERSO QUESTA ULTERIORE PREZIOSITA' A VENEZIA, IL LUNGHISSIMO PERIODO ESTIVO PREGNO DI EVENTI MOLTO TRISTI COME I ROGHI OVUNQUE STA VOLGENDO VERSO IL TERMINE; MI COLPISCE NEL SUO VALORE SIMBOLICO A QUESTO PROPOSITO, QUESTA OPERA CHE VEDE UN TORO CHE DIVENTA UNA NUOVA ARCA DOVE PRENDONO POSTO UMANI E VENGONO TRAGHETTATI VERSO LA SALVEZZA: VI LEGGO CHE SENZA LA NATURA L'UOMO NON PUO' PENSARE DI SALVARSI. CONSOLIAMOCI L'ANIMA CON QUESTE MOSTRE CHE SAURO SASSI CI DONA CON I SUOI PUNTUALI E AFFASCINANTI ARTICOLI.
MOSTRA “INTUITION” A PALAZZO
FORTUNY A VENEZIA
Continuo a segnalare mostre d’arte a Venezia perché,
come ho già scritto, in questo periodo la città offre veramente moltissimo. In
particolare ne voglio consigliare una che ho visto di recente e che, secondo
me, è la più bella. Si intitola “Intuition”,
la sede è il palazzo Fortuny. Nasce
dall’idea del collezionista e mercante d’arte belga Axel Vervoordt che già da anni cura, in questo splendido palazzo
veneziano, esposizioni che hanno sempre riscosso grandi riconoscimenti per
impianto culturale, qualità delle opere e degli allestimenti. Questa è la sesta,
ed è stata preceduta da quattro collettive (“Artempo”, “Infinitum”, “Tra”, “Proportio”) e una personale dedicata all’artista spagnolo Antoni Tapies. In tutti i casi è
fondamentale il luogo in cui le mostre sono state allestite. Il palazzo Fortuny, quattrocentesco, era
inizialmente appartenuto alla nobile famiglia Pesaro. Estinta la famiglia, aveva attraversato un periodo di
degrado, fino a quando Mariano Fortuny,
decise di acquistarlo e riportarlo all’antica bellezza. Mariano era di origine spagnola. Nato nel 1871, di famiglia benestante, si formò in ambiente internazionale,
tra Parigi e Venezia, in anni di grande fermento artistico e intellettuale. Affascinato
da Wagner, iniziò a elaborare
complessi sistemi di illuminazione delle scene teatrali, scenografie,
costumi. Oltre a esercitare la sua
creatività anche nella pittura e nella fotografia, prese a occuparsi di moda e
di produzione di tessuti, aprendo, nel 1919, una fabbrica all’isola della Giudecca e negozi in tutta Europa (la
fabbrica esiste ancora, vicino al grande molino
Stucky, oggi trasformato in hotel di lusso). Il palazzo di Venezia, dove visse fino alla morte
(nel 1949), divenne per Mariano, come avrebbe detto Mario Praz, la casa della vita, cioè un
luogo che rappresentava una biografia intellettuale, artistica, sentimentale
del proprietario. Donata al comune di Venezia,
dopo le tipiche lungaggini italiane, nel
1975 fu aperta come casa museo e sede di mostre temporanee. Nonostante le
spoliazioni subite, rimane un luogo pieno di suggestione, soprattutto nel piano
nobile che conserva gli arredi e le decorazioni realizzati dallo stesso Fortuny, i suoi quadri nonché la raccolta di quelle mirabilia archeologiche e di
antiquariato che egli amava collezionare. In questo contesto si inseriscono
splendidamente le mostre allestite da Axel
Vervoordt, che intrecciano arte antica e contemporanea, archeologia,
filosofia, scienze cercando sempre di rispondere ad alcune domande di fondo
sull’uomo e il suo rapporto con l’universo, lo spirito e la razionalità, la
relazione tra arte e scienza intese come massime espressioni dell’umano. La
mostra attuale, “Intuition” intende
riflettere sull’atto creativo e su come, in tutte le epoche storiche e nei più
svariati contesti geografici e culturali, siano state realizzate opere i cui
autori non le abbiano concepite attraverso un processo razionale ma per
improvvise illuminazioni. Queste illuminazioni, intuizioni, ispirazioni (le
parole come sempre appaiono deboli per definire cose immateriali) sono spesso
quelle che più concorrono all’evoluzione dell’uomo, anche in campo scientifico.
Come dice Einstein, l’immaginazione
è più importante della conoscenza. La mostra mescola opere di artisti
contemporanei e moderni, di tutti i continenti, con opere anche antichissime,
sicuramente realizzate con scopi diversi (rapportarsi con la natura,
interrogarsi sulla morte, rappresentare uno spirito collettivo), trovando
convergenze inaspettate che oltrepassano il tempo, lo spazio, le civiltà. Lo
scopo è di indagare ciò che la mente
immagina prima della razionalizzazione
e anche la sapienza originaria del corpo.
Si inizia, al pianterreno, con una vasta sala che ospita su una parete un ritratto
molto bello dell’americano di colore Jean
Michel Basquiat, che rivendicava fortemente le sue origini africane, e una
serie di Menhir preistorici.
L’allestimento, molto curato scenograficamente, inscena un dialogo stretto tra
opere così diverse, annullando le migliaia di anni che le separano. La luce è molto importante, anche nei suoi
significati simbolici. Così, sempre al pianterreno, Kurt Ralske e Giulio
D’Alessio allestiscono un gioco di luci e ombre che dialogano con il suono
e le parole di un madrigale di Gesualdo
da Venosa (“Tristis est anima mea”),
e l’anglo indiano Anish Kapoor
appone su una parete bianca una superficie concava anch’essa bianca
intitolandola, però, “White dark”:
il bianco è l’altra faccia del nero come il buio lo è della luce, il nero è la
fase attraverso cui, alchemicamente, si giunge alla trasmutazione della
materia. Al bianco su bianco di Kapoor
risponde nelle sale superiori un altro cerchio, questa volta nero ma circondato
dal bianco, dipinto da Otto Piene.
La luce ritorna al piano ammezzato con i cristalli luminosi di Marina Abramovic, inseriti in pali di
legno. L’artista invita ad avvicinarsi ai cristalli, all’altezza della testa,
del cuore e del sesso e a prendersi momenti di meditazione. Prima ancora di
giungere alla sala della Abramovic avremo però attraversato un’altra sala nera,
con le pareti rivestire da Nicola
Martini di bitume di Giudea, che ha la caratteristica,
indurendo, di rivelare tutte le imperfezioni delle pareti, i segni e disegni
nascosti nella superficie. Quindi, nero che rivela. Ma il bianco e la luce come
rivelazione di eventi ultraterreni sono anche nelle tante rappresentazioni
cristiane dell’Annunciazione, come
la piccola tavola di Beato Angelico
presente in mostra. Ancora con la luce realizza la sua opera, al piano nobile, Alberto Garutti. Qui le lampade
progettate da Mariano Fortuny accresceranno l’intensità luminosa ogni volta che un fulmine cadrà, in
Italia, durante un temporale. Come dice l’autore è l’invito, anche dentro un
museo, a pensare al cielo. Il piano nobile è bellissimo, conserva ancora gli
arredi originali, la luce è bassa e crea una (atmosfera di grande suggestione.
Qui, ancora, si mescolano opere di tutte le epoche, dai grandi visionari come Ensor, Sebastian Matta, De Chirico,
alla statuaria preistorica, a una grande opera dell’africano El Anatsui che combina tappi di
bottiglie e frammenti metallici per realizzare bellissime composizioni, arazzi
poveri. Ancora una sala di opere tutte bianche (tra cui Manzoni) e una di opere nere (tra cui Agnetti). Poi una installazione sonora e lavori eseguiti
appositamente, come quello di Matteo
Nasini che unisce indagine sull’inconscio a tecnologie modernissime,
registrando l’attività cerebrale di persone che dormono e trasformando questi
impulsi elettrici in musica e anche in oggetti di porcellana, realizzati con
una stampante tridimensionale (molto belli). Durante le giornate inaugurali
erano state realizzate anche alcune performance che ora sono documentate, come
un balletto di Yasmine Hugonnet,
intitolato “La Ronde”, in cui quattro danzatori, allacciati, ruotano lentamente
trasmettendosi gesti e movimenti dettati direttamente dal proprio corpo e che
vengono trasformati in moto collettivo. In un’altra performance Marcos Lutyens aveva compiuto una
seduta di ipnosi collettiva, invitando
persone a sedere in cerchio avendo, all’altezza delle mani, delle tavolette di
argilla e uno strumento per inciderle. Dopo aver determinato in essi uno stato
di grande rilassamento e di apertura agli stimoli interni venivano invitati,
con entrambe le mani, a realizzare segni e disegni sulle tavolette, così come
venivano loro dettati dal proprio subconscio. Le tavolette sono poi state cotte
e sono diventate parte dell’esposizione. Molto spazio viene lasciato agli artisti orientali. Lo zen ha fortemente
influenzato anche diversi artisti occidentali, con concetti come quello per cui
ogni uomo possiede una conoscenza che non deriva dall’esperienza, dallo studio,
ma è innata, abita da sempre il corpo e può essere rivelata proprio lasciando
che il corpo si esprima senza passare attraverso la convenzione del pensiero.
Per tradurre in opera questa conoscenza è fondamentale la velocità di
esecuzione, che esclude così la possibilità che il pensiero possa
razionalizzare l’azione. Tanti artisti orientali hanno praticato questi
principi (ad esempio il gruppo Gutai,
negli anni ’50), così come anche tanti occidentali ne sono stati influenzati,
soprattutto nelle correnti informali, come il francese Michaux o l’americano Tobey
(di cui, tra l’altro, è in corso una splendida mostra alla fondazione Guggenheim a Venezia). Così, sia al
piano nobile che a quello superiore, che è pieno di luce, troviamo artisti,
soprattutto giapponesi, che praticano una pittura del segno e del gesto, e
artisti occidentali che giungono a soluzioni simili, realizzando anche una
sorta di alfabeto di segni come il tedesco Uecker
con una serie di grandi tele intitolate “Regen”
in cui segni irregolari affiorano come gocce di pioggia o i surrealisti che,
naturalmente, mettevano l’inconscio al centro del loro lavoro, per sottolineare
la forza eversiva delle pulsioni incontrollate. Troviamo qui una serie di “Cadavre Exquis”, disegni realizzati da
persone diverse (ad esempio Tanguy, Breton, Nush Eluard) in cui uno
iniziava da una parte del foglio, poi copriva la parte realizzata e un altro
proseguiva non sapendo cosa aveva fatto il precedente. Ne risultavano
ovviamente immagini incongrue, segni di quella libertà dalla rappresentazione
corrente, borghesemente rassicurante, che essi perseguivano. Ovviamente non
poteva mancare un artista come il tedesco Josph
Beuys, che volutamente si poneva come sciamano,
anello di congiunzione tra sapienza immanente dell’uomo nel tempo e necessità
di migliorare il mondo con un atto di volontà e di trasformazione che deve
nascere da ogni singolo individuo. Troviamo così un suo famoso lavoro
intitolato “La Rivoluzione siamo noi” che è una foto dello stesso
artista che cammina e invita tutti a compiere un cammino di rigenerazione a
partire da se stessi. Inoltre, un altro lavoro intitolato proprio come la
mostra: “Intuition”: una serie di
scatoline di legno vuote al cui interno
Beuys aveva scritto la parola intuizione e tracciato una semiretta e un
segmento di retta, cioè un segno finito, misurabile (pensiero razionale), ed
uno potenzialmente infinito (pensiero indeterminato). Chi riceveva la
scatoletta era invitato a riempirla con le proprie intuizioni.
La mostra si chiude, all’ultimo piano, con un’altra opera che chiede la
partecipazione del visitatore. La Sud Coreana Kimsooja ha allestito un grande tavolo ellittico con diversi
sgabelli intorno e vicino dei mucchietti di argilla. Si viene invitati a
prenderne un pezzo, sedersi e modellarlo lentamente in forma di sfera, cercando
di concentrarsi sulla materialità dell’argilla, sulla sua consistenza, sulle
mani che la lavorano. Le sfere (e nessun’altra forma) vanno lasciate sul
tavolo, concorrendo così a un’opera collettiva materiale e mentale.
Ci sarebbe molto altro da dire e su cui pensare in una
mostra così ricca e stimolante: rinnovo l’invito alla visita, non rimarrete
delusi.
“When you
reach the end of what you should know, you will be at the beginning of what you
should sense”. KAHLIL GIBRAN
“I believe in
intuition and inspiration. Imagination is more important than knowledge”. ALBERT EINSTEIN
“Ho visto un
angelo nel marmo ed ho scolpito fino a liberarlo”. MICHELANGELO BUONARROTI
Sauro Sassi
INTUITION.
PALAZZO FORTUNY A VENEZIA FINO AL 26 NOVEMBRE 2017
TUTTI I
GIORNI DALLE 10 ALLE 18 ESCLUSO MARTEDI’
BIGLIETTO
INTERO EURO 12. RIDOTTO A 10 OVER 65 SOCI FAI, TOURING, BIGLIETTI FRECCIA
ARGENTO O FRECCIA BIANCA PER VENEZIA, TITOLARI DI CARTA FRECCIA. PER ARRIVARE SECONDO
ME LA SOLUZIONE MIGLIORE, ANCHE PER NON PAGARE L’ESOSO BIGLIETTO DEL VAPORETTO
E’, DALLA STAZIONE CENTRALE, ANDARE A RIALTO A PIEDI E POI PROSEGUIRE IN
DIREZIONE ACCADEMIA. IL PALAZZO E’ INDICATO
IN
VAPORETTO: DALLA STAZIONE LINEA 2 FERMATA SAN SAMUELE (VICINO A PALAZZO GRASSI)
E POI SI VA IN CAMPO SANTO STEFANO E DA LI’ VERSO RIALTO. OPPURE LINEA 1
FERMATA SANT’ANGELO (PIU’ VICINA)
INDIRIZZO
SAN MARCO 3958 (CAMPO SAN BENETO)
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