IL NOSTRO SAURO E' ECLETTICO DAL MODERNO ALL'ANTICO MA E' SEMPRE BELLO LEGGERE LE SUE INCURSIONI ARTISTICHE
MANTEGNA E GIOVANNI BELLINI SI RINCONTRANO A VENEZIA
Bello tornare
tra il Quattrocento e il Cinquecento, quando il nostro Paese era al centro
dell’arte e della cultura e grandissimi personaggi si incontravano,
dialogavano, si confrontavano. Andrea Mantegna
(1431-1506) viveva a Padova e,
giovanissimo, mostrò le sue qualità a bottega di un maestro, Squarcione, e osservando i grandi
artisti che portavano le novità dalla Toscana;
in particolare Donatello, che si
fermò a lungo e gli mostrò la tecnica della prospettiva, che poi Andrea affinò
osservando, a Ferrara, Piero della Francesca (opere purtroppo
perdute) e anche artisti fiamminghi. Attraverso il suo
maestro entrò in contatto con la più importante bottega veneziana del tempo,
quella di Jacopo Bellini e conobbe
quindi i suoi figli, anch’essi pittori, Gentile
e Giovanni (1433-1516). Sicuramente
i giovani si confrontarono e condivisero scelte tecniche e di evoluzione
stilistica, anche se poi le loro strade si allontanarono notevolmente, sempre
in un clima di grande ammirazione reciproca. Andrea sposò la sorella di Giovanni
nel 1453 e si fa risalire a questa
data, o poco dopo, un suo dipinto a tempera su tela intitolato “Presentazione di Gesù al Tempio”, che
potrebbe richiamarsi al figlio, nato da poco. I personaggi fanno riferimento
alla sfera famigliare, con Andrea e
la moglie ritratti ai lati estremi della tela, defilati. In primo piano la Madonna, col viso dolcissimo e un po’
triste, regge il bambino e sembra esitare ad affidarlo al vecchio sacerdote Simeone, che la osserva con sguardo
grave. Simeone, a cui era stato
predetto che non sarebbe morto prima di aver visto il Messia, lo riconosce e desidera prenderlo per cantarne le lodi. Il
bambino è eretto, strettamente avvolto da fasce, come allora usava per evitare
possibili malformazioni, ma che possono anche ricordare le lenzuola di morte;
poggia i piedi su un cuscino che, con splendido artificio prospettico, è a sua
volta posto su una cornice marmorea che crea un ulteriore diaframma con lo
spettatore e accentua la tridimensionalità delle figure (sicuramente anche Antonello da Messina si nutrirà di
queste soluzioni). Gli abiti della Madonna
e del bambino sono riccamente
decorati e la lunga barba bianca di Simeone
è un capolavoro di resa tecnica, nella accuratissima descrizione di ogni
singolo ricciolo. Al centro della scena, ma un po’ arretrato rispetto alla Madonna, al bambino e a Simeone,
anche Giuseppe (che potrebbe essere
un ritratto di Jacopo Bellini) ha
uno sguardo corrucciato e sembra guardare con una certa preoccupazione il
sacerdote. Un quadro bellissimo, eseguito da un artista poco più che ventenne,
che qualche anno dopo andò a Mantova,
dove fece meraviglie. L’opera, attualmente, si trova a Berlino, alla Gemaldegalerie.
Una decina di anni dopo Giovanni Bellini
decise di rifarla, ricopiandola letteralmente, a tempera su tavola, ma
introducendo, ai lati, due ulteriori personaggi, che potrebbero essere un suo
autoritratto e la madre. Vedremmo così, rappresentati sul lato destro del
quadro, due dei più grandi artisti di ogni tempo. Ovviamente l’opera si
allarga, le proporzioni del quadro non rispettano più la sezione aurea; diventa
una specie di schermo cinematografico. Gli altri personaggi sono effettivamente
uguali a quelli dipinti da Mantegna ma
si umanizzano, scompaiono le aureole, gli abiti sono meno eleganti, i volti si
addolciscono, i colori sono più caldi. Vengono meno elementi effettistici come
i riccioli della barba di Simeone o la cornice prospettica, che è sostituita da
una balaustra di marmo. Emergono quindi le grandi differenze tra i due artisti:
uno scabro, scultoreo, l’altro che andava via via addolcendo la sua pittura,
aprendo la strada alla grande stagione coloristica veneziana. L’opera di
Bellini si trova a Venezia, alla
fondazione Querini Stampalia, e
faceva parte della collezione di questa ricca e antica famiglia, in un
bellissimo palazzo a fianco della chiesa di Santa Maria Formosa, a due passi da piazza San Marco. L’ultimo rappresentante della famiglia, Giovanni, “certa la morte, incerto il tempo in cui accade” (la sua avvenne nell’anno 1869), deliberò per testamento che il palazzo e tutti i beni che
conteneva, compresi gli arredi e la quadreria, divenissero di uso pubblico,
così come volle che, con i moltissimi libri, fosse istituito un Gabinetto di
lettura ed una Biblioteca che “rimanessero
aperti nei giorni ed ore che i Curatori determineranno ma costantemente in
tutti quei giorni ed ore in cui le Biblioteche pubbliche sono chiuse, e la sera specialmente, per comodo degli studiosi…”.
Da allora la biblioteca della Fondazione, coi suoi 350.000 volumi, è divenuta il luogo di formazione di tutti i
giovani veneziani e non si può non ammirare l’azione illuminata del conte Giovanni, che dovrebbe ancora oggi
essere di esempio a chi, disponendo di grandi ricchezze, decida di usarle per
la crescita civile di tutte le persone.
Il palazzo ospita, quindi, la biblioteca e un ricco museo di quadri,
soprattutto di autori veneti, (in particolare numerosissime opere di Pietro Longhi), disposti in stanze che
conservano gli arredi e i mobili di una nobile dimora veneziana. L’opera però
più famosa è “La presentazione di Gesù al Tempio” di Giovanni Bellini, che da sola vale una
visita. Attualmente si ha l’occasione unica di ammirare questo capolavoro di
fianco a quello che lo ha ispirato, il quadro di Andrea Mantegna, che viene da Berlino.
Successivamente le opere andranno a
Londra, alla National Gallery,
per una importante mostra su Mantegna
e Bellini che passerà poi a Berlino.
I responsabili della fondazione hanno incaricato l’architetto svizzero Mario Botta, che ha già eseguito
importanti progetti sull’accesso al Palazzo, di curare l’allestimento della
mostra, che è divenuto un percorso attraverso le stanze del piano nobile, coi
quadri che ricostruiscono l’ambiente veneziano, per giungere a una stanza dove
grandi pannelli didattici illustrano le due opere e ne descrivono i contenuti.
I due quadri sono poi esposti su pannelli con una angolatura che consente di
guardarli contemporaneamente e con un impianto di illuminazione appositamente
studiato per vederli al meglio anche tenendo conto dello stato di
conservazione, dello stato dei colori e delle tecniche di realizzazione.
Un’occasione unica e una grande gioia per gli occhi e la mente. L’incontro,
volendo, si può rinnovare nei locali di nuovo allestimento della Pinacoteca di Brera dove troviamo due
capolavori assoluti degli artisti sul tema del Cristo morto: “La Pietà” di Giovanni Bellini e il celebre capolavoro prospettico del “Cristo morto” di Mantegna.
Andando alla Fondazione occorre, al piano terreno,
ammirare gli interventi architettonici di Mario
Botta, ma soprattutto quelli di Carlo
Scarpa, grande architetto veneziano, che, ha esaltato il più caratteristico
elemento della sua città, l’acqua, invitandola ad entrare, a giocare con gli
spazi in cemento e a scorrere intorno al poetico giardino interno.
Ricordo, inoltre, che la Fondazione riserva da sempre
grande attenzione all’arte contemporanea, allestendo mostre che occupano il
piano terreno e spesso si allargano anche al piano nobile, e alcuni lavori
rimangono, anche nel bel locale del bar. Attualmente ospita, al terzo piano, la
prosecuzione della bella mostra organizzata dalle “Stanze del vetro” alla Fondazione
Cini all’isola di San Giorgio, intitolata “Una fornace a Marsiglia.
Cirva”. Sono opere pensate da artisti contemporanei che i maestri vetrai di
Marsiglia hanno tradotto con grande
maestria in questa splendida materia.
SAURO SASSI
BELLINI /
MANTEGNA CAPOLAVORI A CONFRONTO. FINO AL 1 LUGLIO 2018
UNA FORNACE
A MARSIGLIA. CIRVA. FINO AL 24 GIUGNO 2018
FONDAZIONE
QUERINI STAMPALIA, CAMPO SANTA MARIA FORMOSA, VENEZIA.
RAGGIUNGIBILE
IN DIECI MINUTI A PIEDI DA RIALTO O SAN MARCO
APERTURA: DA
MARTEDI’ A DOMENICA ORE 10/18. LUNEDI’ CHIUSO
BIGLIETTI:
14 EUR INTERO, 10 RIDOTTO (OVER 70, STUDENTI, TESSERE TOURING, FAI COOP
ALLEANZA 3.0)
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