NATALIA GONCHAROVA E LE AVANGUARDIE ARTISTICHE A INIZIO ‘900
La
Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze
continua a proporre mostre d’arte di ottima qualità e con allestimenti molto
curati nella sua splendida sede. Le scelte vanno dall’arte antica, come quella
sul Verrocchio maestro di Leonardo,
al contemporaneo, con il recente omaggio alla regina della performance Marina Abramovic. Sulla linea
dell’indagine sulla presenza femminile nell’arte muove anche l’esposizione
attuale, dedicata alla russa Natalia
Goncharova, protagonista dell’epoca delle avanguardie storiche di
inizio ‘900. Se gli impressionisti
avevano portato il moderno nell’arte dell’ultimo quarto dell’Ottocento, la loro
lezione fu ripresa e superata da artisti che eliminarono il dato naturalistico
della rappresentazione, esaltando la propria soggettività come fonte creatrice
del reale, come Van Gogh e Gauguin, ripresi da Matisse e dai Fauves; oppure semplificando sempre più la riproduzione degli
elementi della natura e il corpo umano, assimilandoli a forme geometriche
primarie, il cubo, il cilindro, la sfera, come Cézanne, che ispirò Picasso;
o ancora attraverso una ricerca sulla luce che diventava sempre più importante
della materia, andando verso la pura astrazione, come l’ultimo Monet. Il cuore pulsante della nuova
arte era Parigi ma in diverse altre
città ci fu un grande fermento di ricerche e sperimentazioni. Ad esempio a Monaco di Baviera, dove nacque il
movimento “Blaue Reiter” e Kandinsky già intorno al 1910 iniziò a realizzare composizioni
astratte; a Berlino gli espressionisti di “Die Brucke” riprendevano il primitivismo di Gauguin. Un luogo dove sicuramente in quell’inizio secolo ci furono
notevoli fermenti fu la Russia, dove la grande tradizione,
soprattutto letteraria, dell’Ottocento sembrava soffocare la ricerca del nuovo
ma la dura situazione politica, con l’autoritarismo dello zar e le condizioni
di miseria del popolo, crearono le condizioni di una rivolta sociale, che
esplose con la fallita rivoluzione del 1905.
La successiva repressione creò sempre più scontento e insofferenza anche nei
ceti artistici e intellettuali, che iniziarono a guardare a occidente, a
mettere in discussione l’ordine borghese e aristocratico anche nel campo dell’arte
e della letteratura. Alcuni personaggi ricchi e illuminati, come Sergei Schukin e Ivan Morozov, acquistavano in Francia opere dei maggiori artisti di
avanguardia, come Van Gogh, Gauguin, Matisse, Cézanne, Picasso e aprivano le loro collezione
ai giovani russi che potevano così avere una documentazione di prima mano
sull’evoluzione dell’arte moderna. Fu così anche per la Goncharova, nata nel 1881 nella
Russia centrale da famiglia di piccola nobiltà, che, dopo un’infanzia felice
nella campagna, dove vide la vita dei contadini, l’arte popolare di stampe e
sculture di antichissima origine, la religiosità, le feste, tutti elementi che
non lasciarono mai il suo animo, si trasferì a Mosca dove iniziò gli studi d’arte e incontrò, nel 1901, Mikhail Larionov, coetaneo ma che ella assunse come maestro, con
cui ebbe un sodalizio umano e artistico che, anche in modi di grande libertà e
autonomia, durò fino alla sua morte, nel 1962.
Natalia iniziò a elaborare un
proprio linguaggio, fondendo la tradizione russa all’avanguardia europea. Una
prima fase del suo lavoro si può definire neo
primitivista: l’artista guarda alla Russia profonda, ai suoi usi, riti,
religiosità, immagini da stampe popolari (lubki).
Usa i colori forti di Gauguin,
realizza figure umane imponenti. Si interessa anche alla religiosità, dipinge
soggetti sacri e questo le causa accuse perché, per la religione ortodossa, una
donna non può realizzare tali rappresentazioni. Dipinge anche nudi femminili e
anche questo le causa denunce. Un grande nudo di donna viene sequestrato e
risulta talmente scandaloso che ancora oggi Instagram ne vieta la riproduzione. Il desiderio di scandalizzare
la società perbenista, ispirato anche al futurismo
italiano, porta la Goncharova e
i suoi amici a dipingersi il volto con segni e frasi offensive, andando in giro
per Mosca tra l’ira dei benpensanti (pensiamo che simili performance sono state
fatte, ad esempio, dagli artisti dell’Azionismo
Viennese negli anni ’60). Natalia
aveva un carattere molto forte e una enorme capacità di lavoro, che la portò a
produrre moltissimo e ad avere, nel 1913,
una grande monografica a lei dedicata che la impose anche in campo
internazionale. La Goncharova subì
anche l’influenza del cubismo e del futurismo italiano, del quale, però, non condivideva il maschilismo, il mito
del progresso e meno che mai quello della guerra, alla quale, nel 1915, dedicò una serie di litografie
dolenti. Fra i futuristi quello con cui più si misurò fu Boccioni e in mostra vediamo un suo ciclista confrontato con un
soggetto analogo dell’italiano, dove si nota come l’elemento dinamico risulti
più accentuato in Boccioni mentre
quello della Goncharova conservi una
sua staticità, l’imponenza tipica delle sue figure. Nel 1913 Larionov fondò un suo movimento astratto, chiamato Raggismo, con un manifesto un po’
demenziale dove fondeva considerazioni pseudo scientifiche per affermare
un’arte che, dalla rappresentazione di un oggetto, passasse alla pura luce che
tale oggetto irradiava. Naturalmente la Goncharova
aderì e realizzò opere astratte e luminose. Va detto che, nello stesso periodo
e nello stesso luogo, Malevic
concepiva il suo manifesto del
Suprematismo, che giustificava un’arte non figurativa con ben maggior
spessore teorico e culturale. Vorrei però segnalare, in mostra, un quadro
stupendo della Goncharova,
intitolato “Il vuoto”, in cui
l’artista supera le deboli teorie raggiste per realizzare un lavoro che turba,
suggerendo una visione tutta interiore che fugge la rappresentazione visiva del
reale. Dopo il successo della personale del 1913 entrò nella vita dell’artista un personaggio eccezionale, Sergej Djagilev, che aveva creato i “Ballets Russes”, immaginando una
fusione delle arti della danza, della musica e della pittura in un’unica grande
realizzazione, chiamando a collaborare grandi danzatori (Nijinsky), coreografi (Fokine),
musicisti (Stravinsky) e affidando
ad artisti come Picasso, Cocteau, Balla la realizzazione di scene e costumi. La Goncharova iniziò la sua collaborazione nel 1913 con l’opera “Le coq
d’or”, dal poema di Pushkin, con
musiche di Rimsky-Korsakov. L’artista
poté dare corso al suo estro, traducendo in forme moderne i costumi della
tradizione popolare russa. La collaborazione con Diaghilev coinvolse anche Larionov
e i due artisti si recarono, nel 1915,
a Roma, dove conobbero Picasso, Balla, Prampolini. La Goncharova
arricchì il suo bagaglio visivo vedendo i mosaici
di Ravenna e la pittura trecentesca
toscana ma l’esperienza che più la colpì fu un successivo viaggio in Spagna, dove rimase sedotta dai costumi
e dalle tradizioni popolari locali, trovandovi similitudini con il suo Paese e
traendone spunti per molti altri lavori, tra costumi, fondali, quadri. Allo
scoppio della rivoluzione russa i due decisero di fermarsi a Parigi, dove da allora vissero, senza
mai più tornare in Russia.
Continuarono a lavorare per Diaghilev
fino alla sua morte, nel 1929, e
conobbero poi anche periodi difficili, compresa una vita sentimentale
complicata. Rimasero però insieme fino alla morte di lei, nel 1962. Larionov morì nel 1964,
dopo aver sposato quella che era stata per decenni la sua amante. Per volontà
degli artisti molte delle loro opere tornarono in Unione Sovietica. Vorrei ricordare, per ricostruire non solo la
vita della Goncharova ma anche le
tante grandi artiste che operarono in quegli anni in Russia e altrove, il libro “L’altra
metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle
avanguardie storiche” della storica dell’arte Lea Vergine, che nel 1980,
con una importante mostra, rivelò l’attività di tantissime donne artiste che operarono all’epoca delle avanguardie storiche e la cui
personalità fu offuscata dagli artisti uomini che, spesso, ne erano mariti o
compagni e che si dimostrarono rivoluzionari nell’arte ma non certamente nei
rapporti con l’altro sesso. Una mostra come quella di Firenze ci permette di rivalutare la grande figura di Natalia Goncharova e di riconsiderare
anche un periodo fondamentale della storia dell’arte.
SAURO SASSI
NATALIA GONCHAROVA. UNA DONNA E LE
AVANGUARDIE TRA GAUGUIN, MATISSE E PICASSO
FIRENZE, PALAZZO STROZZI, FINO AL 12
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