JFT :
blog quasi quotidiano
Seconda
edizione del Torino Jazz Festival con la direzione artistica doppia
di Giorgio Li Calzi e Diego Borotti.
“Per
il TJF è il 2018 l’anno
che segna un profondo cambiamento. Con Giorgio
Li Calzi alla
direzione artistica, affiancato da Diego
Borotti,
il festival, alla sua settima edizione, cambia pelle, si dota di una
grafica giovane, rivoluziona visione e modello che ne determina i
contenuti e i formati. L’aspetto più importante risiede
nell’apertura verso la sperimentazione e un maggiore coinvolgimento
dei soggetti che in città hanno contribuito a mantenerne viva la
cultura: i Jazz Club. “
Programma
ricco e molto vario: non tento un riassunto, il sito é chiaro ed
esauriente.
A
mio gusto promuovo l’apertura al nord scandinavo, soprattutto
norvegese, che é di fatto oggi una delle scene culturalmente più
ricche e creative (non solo per il jazz e per la musica);
il jazz nelle strade, con le marching band (sembrerà di essere
a New Orleans che fa proprio in questi giorni il suo storico NO Jazz
Fest); in luoghi non consueti dove la musica può fare la
differenza (per chi ci sta: case
di accoglienza, residenze
assistenziali, ospedali, carceri);
i tanti spazi cittadini che fanno jazz al di la del JFT, quindi il
terreno fertile della musica al di la dei detonatori - utilissimi ma non sufficienti - delle kermesse dei festivals: realtà di musicisti e veri appassionati non relegati in concerti marginali.
I
prezzi sono più che accessibili: gran parte dei concerti sono
gratuiti ed i prezzi dei biglietti a pagamento vanno da 5 a 12 €.
Purtroppo, causa assenze e impegni, seguirò
una parte davvero minima dei tantissimi concerti e farò un blog irregolare,
incompleto, personale e arbitrario di quanto avrò
ascoltato. In ordine anti cronologico i miei appunti di alcuni concerti nei giorni 3 e 2 maggio, 28 e 26 aprile.
Le
Officine Grandi Riparazioeni, OGR (http://www.ogrtorino.it)
sono uno spazio straordinario che vale la pena conoscere. Spazi
giganteschi progettati e costruiti alla fine dell’Ottocento per
riparare treni non sono
uno spazio
facile per la musica soprattutto quando
si tratta di musica che
ha bisogno di spazi intimi. I due concerti ascoltati qui, invece
hanno funzionato bene, anche grazie ad un impianto tecnologico audio
visivo ottimo e ottimamente gestito; i tecnico di palco audio, video
e impianto luci sono fondamentali e poco riconosciuti: i
ringraziamenti che spesso i musicisti porgono loro, chiedendo anche
per loro una parte di applausi, sono dovuti e meritati in questo
caso.
Nel
JFT concerti alle OGR, inizio alle ore 21, hanno proposto per un
prezzo circa doppio (8/12€ invece dei 5€ dei concerti altrove in
un unico set di circa 1 ora) due set di durata simile: un prezzo
abbordabilissimo per la formula azzeccata di accostare proposte
diverse, spesso nomi nuovi e star.
Per
ragioni, evidenti leggendo, dei due concerti considero prima i SET I,
poi i due SET II
Giovedì
2 maggio, OGR Torino, SET I
LAPSUS LUMINE FEAT. JIM BLACK / ERNST REIJSEGER “MOONDOG PROJECT”
Lapsus Lumine:
Giulia De Val, Sabrina Oggero Viale, Erika Sofia Sollo: voci
Stefano Risso, composizioni, arrangiamenti, contrabbasso
LAPSUS LUMINE FEAT. JIM BLACK / ERNST REIJSEGER “MOONDOG PROJECT”
Lapsus Lumine:
Giulia De Val, Sabrina Oggero Viale, Erika Sofia Sollo: voci
Stefano Risso, composizioni, arrangiamenti, contrabbasso
Guests:
Ernst Reijseger, violoncello, Jim Black, batteria
Il
primo set é stata una bella sorpresa: un’altro pregio del festival
(per il pochissimo che ho potuto seguire: pardon) sono i progetti
speciali. In questo caso, non so se l’idea sia stata dei direttori
artistici o una proposta dei musicisti: comunque vincente. Un
ensemble strano per un autore strano; o forse un gruppo originale per
un compositore originale.
Il
nucleo del gruppo, torinese: tre voci femminili torinesi, bravissime;
un contrabbassista-compositore-arrangiatore e due grandi guests
stranieri: un batterista americano e un violoncellista olandese; per
un compositore americano non so se più sconosciuto o più
leggendario, dipende per chi: Louis
Thomas Hardin, aka
Moondog.
Brani
rivisti, riarrangiati, composti in omaggio o à la manière de:
comunque un bel concerto.
Venerdì
3 maggio, OGR Torino, SET I
KYLE EASTWOOD / STEFANO DI BATTISTA “GRAN TORINO”
KYLE EASTWOOD / STEFANO DI BATTISTA “GRAN TORINO”
Kyle
Eastwood, contrabbasso, basso elettrico Stefano Di Battista,
sassofoni
Fabio Gorlier, pianoforte
Alessandro Minetto, batteria
Fabio Gorlier, pianoforte
Alessandro Minetto, batteria
La
guest star era evidente Eastwood: Kyle é figlio di Clint. Celebrità
non usurpata: Kyle Eastwood é un ottimo musicista: contrabbassista e
compositore che ha firmato le colonne sonore di alcuni dei film di
babbo Clint. Anche qui, come nel SET I del giorno precedente, una
occasione dovuta e una conferma dell’ottima salute del jazz
italiano e torinese: Stefano Di Battista é romano ma Gorlier e
Minetto sono musicisti giovani ed eccellenti ben noti a chi frequenta
i luoghi del jazz della nostra città.
Eastwood
é un ottimo musicista, appunto, ma i suoi “accompagnatori” certo
non sono da meno: insomma un concerto di ottimo jazz, senza sorprese
e di caratura internazionale. L’omaggio alla città si completava
nel titolo: Gran Torino é un noto film diretto da Eastwood, con le
musiche di Eastwood, che prende il nome da un modello di auto - Gran
Torino, appunto – un coupé Ford negli anni ‘60/’70,
chiamato così perché Torino era, in quegli anni, agli occhi degli
americani e quindi del mondo, la città delle auto. Un concerto,
anche eccellente, non ha certo l’impatto mediatico del grande
cinema o del mercato automobilistico, ma forse ora Torino sarà per
il mondo un po’ meno la città delle auto e un un po’ più più
la città della musica e dei treni.
I
due SET II dei due giorni consecutivi, 2 e 3 maggio, alle OGR erano
dedicati alla Norvegia, nazione ospite di riguardo dell’edizione
2019 del JFT:
Giovedì
2 maggio, OGR Torino, ore 21, SET II
RYMDEN (BUGGE WESSELTOFT, DAN BERGLUND, MAGNUS ÖSTRÖM) “REFLECTIONS & ODYSSEYS”
RYMDEN (BUGGE WESSELTOFT, DAN BERGLUND, MAGNUS ÖSTRÖM) “REFLECTIONS & ODYSSEYS”
Bugge
Wesseltoft, pianoforte, Fender Rhodes
Dan Berglund, contrabbasso
Magnus Öström, batteria
Dan Berglund, contrabbasso
Magnus Öström, batteria
Venerdì
3 maggio, OGR Torino, SET II
EIVIND AARSET QUARTET
EIVIND AARSET QUARTET
Eivind
Aarset, chitarra elettrica, elettronica Audun Erlien, basso
elettrico
Erland Dahlen, batteria, percussioni
Wetle Holte, batteria, percussioni, tastiere
Erland Dahlen, batteria, percussioni
Wetle Holte, batteria, percussioni, tastiere
Ho
avuto la fortuna di essere accolto come AiR (Artist in
Residence) a Bergen (http://www.airbergen.no)
per quattro volte tra il
2003
ed
il
2013: sfogliando la lista degli artisti accolti dal 199 ad oggi, scopro di essere stato il più presente; un motivo di soddisfazione. Le residenze sono di 2/3 mesi e dunque in tutto ho vissuto in questa splendida città una decina mesi
in
un decennio, tanto da sentirla, almeno un po’, come una delle
“mie”
città. Ospite presso USF Kultur og scenehuset (https://usf.no),
un centro culturale nato
dalla
ristrutturazione di una fabbrica di sardine (USF=United Sardine
Factories) divenuto, come scrive il sito “the
major co-location and cluster for art, film and music and creative
enterprises in Bergen and Norway”
Ovviamente
una fabbrica di sardine é sul mare e in Norvegia mare significa
fiordo;
oltre
ai due grandi studi sul fiordo per gli artisti stranieri, ci sono
spazi espositivi, sale concerti per il rock ed il jazz, cineclub,
sale teatrali, bar ristorante e studi per gli artisti locali. In uno
di questi studi il mio amico Knut: ottimo pianista e compositore attivo nel
mondo del jazz, della musica contemporanea e autore di colonne
sonore: un compositore che, come tanti altri in Norvegia, vive della
propria musica: un lusso o un’utopia per un compositore in Italia,
al di fuori dei circuiti della musica “commerciale”.
Incontravo Knut al Kafe Kippers in riva al fiordo; in uno dei primi incontri, parlando di musica e di arte, lui manifestava ammirazione per l’Italia (fatto frequente nei paesi scandinavi) quasi invidioso. Ho cercato di spiegargli che non é più così rosea in Italia per chi vive di arte e ricordo il suo sguardo accorato mentre mi diceva “ma quando da voi c’era il Rinascimento, noi qui eravamo rozzi pescatori”. Vero, ma la mia risposta, nata da una deduzione forse inevitabile, é stata: “si, ma il Rinascimento oggi siete proprio voi”.
Le mie residenze successive, l’attenzione alla musica ed alla cultura norvegesi, l’incremento che hanno avuto negli ultimi 10 anni, o almeno l’attenzione che stanno suscitando anche da noi, mi hanno confermato.
Incontravo Knut al Kafe Kippers in riva al fiordo; in uno dei primi incontri, parlando di musica e di arte, lui manifestava ammirazione per l’Italia (fatto frequente nei paesi scandinavi) quasi invidioso. Ho cercato di spiegargli che non é più così rosea in Italia per chi vive di arte e ricordo il suo sguardo accorato mentre mi diceva “ma quando da voi c’era il Rinascimento, noi qui eravamo rozzi pescatori”. Vero, ma la mia risposta, nata da una deduzione forse inevitabile, é stata: “si, ma il Rinascimento oggi siete proprio voi”.
Le mie residenze successive, l’attenzione alla musica ed alla cultura norvegesi, l’incremento che hanno avuto negli ultimi 10 anni, o almeno l’attenzione che stanno suscitando anche da noi, mi hanno confermato.
Il
perché probabilmente é complesso ma un suggerimento può venire da
alcuni dati basici: una nazione grande quanto l’Italia, con una
popolazione di circa 5 milioni di abitanti ed una grande ricchezza
data da giacimenti petroliferi tra i maggiori del pianeta, un mare
pescosissimo ed uno stato capace di ridistribuire le ricchezze,
investendo in energie rinnovabili, sviluppo sostenibile, arte e
cultura.
I
due SET II dei due giorni consecutivi, 2 e 3 maggio, alle OGR
dedicati alla Norvegia, sono stati un esempio eccellente di questo
Rinascimento musicale norvegese: non cerco di accennare a parole
quello che si può solo raccontare con i suoni. Due concerti
bellissimi per impatto emotivo, originalità, tecnica, capacità di
tenere il palco tra suoni e immagini. Musica in cui il suono, la
materia sonora, é fondamentale (non é un'ovvietà): facile trovare
da ascoltare e vedere online ma da apprezzare con cuffie di alta
qualità, meglio ancora con un buon impianto audio, meglio ancora dal
vivo: sperando che ci siano altre occasioni per questo.
Domenica
28 aprile, ore 18.30
Conservatorio Giuseppe Verdi
FRED
FRITH “SOLO ELECTRIC GUITAR”
Fred Frith non ha bisogno di presentazioni.
Il
concerto mi é piaciuto moltissimo: un’ora di musica bella e
accattivante, solo sul palco con la sua chitarra e una serie, neppure
eccessiva, di apparecchi elettronici e oggetti da fare suonare e con
cui suonare la chitarra. Un unico grande brano eseguito con la
tranquilla sicurezza di un grande professionista e di un vero
musicista.
Troppo
spesso occasioni simili si rivelano come l’esposizione di un unico
grande suono, accattivante in se (il suono seduce, sa essere sexy) ma musicalmente
informale e noioso per durate di qualche decina di minuti. Un’ora é
la durata di una sinfonia romantica, articolata in più movimenti, un
atto d’opera, che racconta una storia e la mette in scena: non
facile reggere l’attenzione per un tempo così da soli su un palco.
Frith con la sua chitarra, gli oggetti musicali e gli apparecchi
elettronici diventa un’orchestra molto ben controllata per una
parte non scritta/letta, certo, ma composta chiaramente nella mente
dell’esecutore-compositore.
Intanto
porta a riflettere sulla ricchezza sonora di 6 corde che vibrano:
esce, nasce tutto da li e l’approccio di Frith mi pare quello di
uno scultore che scava in una materia acustica ricchissima per
cavarne belle forme, estese nel tempo e non nello spazio.
Leggo
nel programma generale del festival: “Frith presenta il concerto
citando un aforisma di Eduardo Galeano che racchiude il suo mondo
espressivo: «Gli scienziati dicono che siamo fatti di atomi, ma un
uccellino mi ha detto che siamo fatti di storie»”.
Il
grande suono di un’ora mi è piaciuto perché mi ha raccontato
storie capaci di catturare l’attenzione. La musica ha una propria
narratività che si può raccontare solo con i suoni e che emerge
all’ascolto; cito a memoria una frase di Italo Calvino, letta molti
anni fa, appuntata chissà dove e ricordata in modo approssimativo:
“Scrivere é preparare, parola per parola, frase per frase, il
lettore a ciò che leggerà subito dopo”.
Così
é anche per la musica e nel grande suono, cercando di accennare a
parole quello che si può dire solo con i suoni, personalmente ho
ritrovato echi di blues, evocazioni di musica indiana, droni e
bordoni, momenti di musica concreta, …
Domenica
28 aprile, ore 21, Conservatorio Giuseppe VerdiTHE GAVIN
BRYARS ENSEMBLE
Gavin Bryars, contrabbasso
Nick Barr,
viola
Nicholas Cooper, violoncello
Alexandra Tchernakova,
pianoforte
Katie Wilkinson, violino
James Woodrow, chitarra
elettrica
Gavin
Bryars, mi é venuto da pensare durante il concerto, é come Joaquim
Rodrigo: due compositori famosi che hanno composto un fantastico
pezzo famoso che li ha resi famosi.
Rodrigo
l’ha azzeccata in pieno con il Concerto di Aranjuez per
chitarra ed orchestra, il cui tema probabilmente é noto ad una larga
maggioranza di persone che ascoltano musica in concerti, alla radio e
in cd.
Bryars
ha avuto una intuizione formidabile con Jesus blood never
failed, un pezzo bello quanto celebre presentato anche qui
in una nuova versione da camera.
Sinceramente
preferisco la versione con grande orchestra che deve la sua forza
proprio alla sua grandiosità espressa: la voce registrata e fragile
dell’homeless che canta la melodia viene su poco a poco dal nulla,
coma dal fondo di una strada buia e periferica, si ripete come un
ritornello ostinato: poco a poco, l’orchestra si raccoglie attorno,
la raddoppia, la armonizza, la colora portandola ad un culmine di
elegia grandiosa: una sorta di resurrezione molto umana e toccante.
Qui
invece, gli strumenti sono pochi ma la durata é comunque rilevante:
e dopo i primi passaggi tutto resta troppo uguale e la ripetizione diventa noioso, almeno per me.
Nella
differenza enorme di “clima” la forma di questo brano é la stessa di quella del Bolero di Ravel: ecco, immaginate un Bolero che cresce
dal nulla ad un inizio con pochi strumenti e poi resta li, in un
mezzo piano costante che sfuma, dopo troppo tempo, in un bel finale
in dissolvenza di armonici degli archi.
Il
resto del concerto mi ha deluso a partire dalla scelta, per me
immotivata, di amplificare un organico cameristico in una sala
pensata per la musica da camera acustica. La presenza di una chitarra
elettrica non giustifica tale scelta: avrei preferito ascoltare una
chitarra (amplificata) abbassata al livello acustico degli strumenti
che un violino, una viola, un violoncello ed un contrabbasso alzati a
quello della chitarra. Peccato.
venerdì 26
aprile, Ore 17.30,
Teatro Piccolo Regio
ICP
TRIO
Han
Bennink, batteria Wolter Wierbos, trombone Ernst Glerum, double bass
CLG
ENSEMBLE
Dario
Bruna, direzione, batteria
Monica
Fenu, coordinamento tecnico
Ramon
Moro, tromba elettronica
Una
quasi inaugurazione, primo concerto a pagamento, in un Piccolo Regio
colmo.
Inaugurazione
coraggiosa per una produzione originale TJF che é originale davvero:
un trio consolidato condotta dallo storico batterista,
multi-strumentista e ininterrotto sperimentatore, l'olandese Han
Bennink alla guida di un trio estratto dalla ICP Orchestra (Instant
Composers Pool), formazione olandese tra le più rilevanti in
Europa.
Ad
affiancarli, stretti sul piccolo palco del Piccolo (sic) Regio, una
quindicina di persone impegnate a suonare strumenti e oggetti sonori
e a recitare testi.
Non
musicisti professionisti, non persone “normali” ma disabili. (*1)
Peraltro abili qui, sotto il coordinamento di Dario Bruna e della sua
batteria, a tenere palco in modo emozionante e musicalmente
convincente: una bella sfida al virtuosismo patinato, prevedibile e
retorico che pare essere il motore del successo ora forse come non
mai.
Un
modo concreto e vivo di dimostrare non solo che “C’é musica e
musica” (*2) ma anche di mostrare cosa può essere la musica: un
linguaggio per condividere ed esprimersi, per riorganizzare gli
insiemi umani, attivare neuroni specchio, accendere reti di
comunicazione profonde ed intuitive, suscitare domande su cosa sia
abilità, normalità, diversità.
Ricordo
che anni fa la musica come quella del Trio ICP la chiamavamo Musica
creativa più ancora che Free jazz. La
creatività dovrebbe essere un imperativo della musica e dell’arte,
ma spesso invece prevale il conformismo: nulla come la musica porta
alla coazione a ripetere e dove c’é coazione non c’é
spazio per la creatività e l’invenzione.
Bravi
gli abili professionisti ed i diversamente abili dilettanti che hanno
tenuto il palco dilettandosi e catturando l’attenzione del
pubblico.
Han
Benninck, che probabilmente era il meno giovane di tutti, ha tenuto
da par suo il palco da vero performer e mattatore: alla fine il più
matto sembrava proprio lui: per fortuna.
“La
musica é la migliore consolazione già per il fatto che non crea
nuove parole. Anche quando accompagna delle parole, la sua magia
prevale ed elimina il pericolo delle parole. Ma il suo stato più
puro é quando risuona da sola. Le si crede senza riserve, poiché
ciò che afferma riguarda i sentimenti. Il suo fluire é più libero
di qualsiasi altra cosa che sembri umanamente possibile, e questa
libertà redime. Quanto più fittamente la terra si popola, e quanto
più meccanico diventa il modo di vivere, tanto più indispensabile
deve diventare la musica. Verrà un giorno in cui la musica soltanto
permetterà di sfuggire alle strette maglie delle funzioni, e
conservarla come possente e intatto serbatoio di libertà dovrà
essere il compito più importante della vita intellettuale futura. La
musica é la vera storia vivente dell'umanità, di cui altrimenti
possediamo solo parti morte. Non c'é bisogno di attingervi, poiché
esiste già da sempre in noi, e basta semplicemente ascoltare, perché
altrimenti si studia invano.”
(ELIAS
CANETTI, La provincia dell'uomo)
- *1
La Cooperativa Sociale CLGEnsemble gestisce un centro diurno per
disabili psicofisici e lavora alla realizzazione di percorsi musicali
a carattere relazionale. Da anni il CLGEnsemble propone un discorso
di integrazione che coinvolge i linguaggi delle arti. L’ensemble
crea progetti in grado di integrare efficacemente persone disabili e
professionisti della musica. In questa occasione il gruppo incontra
uno dei più influenti artisti dell’avanguardia europea: Han
Bennink. Il batterista è un’icona della storica scena olandese,
un personaggio eclettico e istrionico: con lui sul palco accadono
sempre cose imprevedibili. Qui guida un trio estrapolato dalla ICP
Orchestra (Instant Composers Pool), formazione olandese tra le più
rilevanti in Europa.
- *2 - C’é musica e musica é la trasmissione a puntate RAI TV del 1972, bellissima ancora ma oggi impensabile (nel libretto del DVD leggo che in CdA RAI c'erano Umberto Eco e Furio Colombo, ... giusto per dirne due) forse principale responsabile (colpevole) del fatto che io mi abbia deciso di studiare composizione e quindi abbia fatto il musicista.
http://feltrinellieditore.it/opera/opera/ce-musica-e-musica/ http://www.teche.rai.it/programmi/ce-musica-musica/
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