Bella e interessante la mostra della
fotografa americana Lee Miller a Palazzo Pallavicini a Bologna.
Interessante perché si presta a diverse considerazioni, a partire da un
discorso di genere sull’arte e sulla fotografia. L’arte, nei secoli passati, è
stata un campo prettamente maschile, a cui pochissime donne hanno avuto
accesso. Nel Cinquecento la cremonese Sofonisba
Anguissola, la bolognese Lavinia
Fontana, figlia di pittore; nel Seicento
Artemisia Gentileschi, anch’essa
figlia di pittore: stuprata da un allievo del padre, Artemisia riuscì ad affermarsi, ma le sue opere portano il segno
del trauma subito; la bolognese Elisabetta
Sirani, realizzatrice di ritratti e dolcissime Madonne col Bambino, che
morì non ancora trentenne. Nel Settecento
la veneziana Rosalba Carriera si
impose per i suoi ritratti a pastello, mentre la francese Elisabeth Vigée Le Brun fu la ritrattista della corte francese,
amica di Maria Antonietta. Nell’Ottocento
il baricentro dell’arte si spostò a Parigi,
gli artisti si resero indipendenti, mettendo le loro opere sul mercato. La
presenza femminile restò comunque limitata e cominciò a svilupparsi il fenomeno
per cui le aspiranti artiste passavano da modelle ad amanti (a volte mogli) di
artisti maschi famosi, per poi affermarsi. Così Berthe Morisot con Manet,
Mary Cassatt con Degas, Suzanne Valadon che posò, tra gli altri, per Degas, Renoir, Toulouse Lautrec; la grande scultrice Camille Claudel, distrutta dalla
relazione con Rodin, che finì i suoi
giorni in manicomio (c’è un bellissimo film sulla sua storia). Poi venne il Novecento e le avanguardie artistiche:
rivoluzionari nell’arte e nella politica, non nel rapporto con le donne. Per
esse si riproponeva il ruolo di modelle, amanti, mogli ed, eventualmente,
artiste, ma relegate in un ruolo secondario e subordinato. Si deve alla storica
dell’arte Lea Vergine l’avere
rivelato al vasto pubblico, con una mostra e un libro intitolati “L’altra metà dell’Avanguardia” (1980)
tante grandi artiste ingiustamente sottovalutate e poco conosciute. Solo di
recente si è dato a Sonia Delaunay, Anni Albers, Dorothea Tanning, Meret
Oppenheim, Leonora Carrington, Natalia Goncharova il ruolo loro spettante nell’arte novecentesca. Anche la
fotografia è stato un campo espressivo prettamente maschile, però anche qui le
cose stanno cambiando. Ricordiamo, negli ultimi anni, il fenomeno Vivian Maier, “la tata con la Rolleiflex”,
che alla sua morte lasciò uno sterminato archivio di foto mai mostrate, che poi
hanno girato il mondo in mostre di grande successo, fornendo uno sguardo
attento sulla realtà urbana americana, mostrandone immagini di piccole storie
quotidiane con stile sicuro e molto accattivante. Jesi ospita una mostra della fotografa e rivoluzionaria Tina Modotti (che apprese la tecnica da
Edward Weston) mentre a Venezia, alla Casa dei Tre Oci, espone Letizia
Battaglia, che ha documentato, con foto di straordinaria drammaticità, la
stagione di sangue della mafia siciliana. Qualche anno fa, ancora a Venezia, si è vista una mostra di Dora Maar, che fu modella e amante di Picasso, ma che era anche un’eccellente
fotografa. Purtroppo per lei, incappò in un genio che era anche un mostro, che
tarpò la sua creatività e la ridusse in uno stato di prostrazione psichica da
cui non si riprese più, impedendole di portare avanti il suo talento. Lee Miller, in mostra ora a Bologna, aveva una tempra ben diversa
dalla dolce Dora. Nata nel 1907
negli Stati Uniti, di buona famiglia, fu segnata da uno stupro subito a sette
anni da un amico di famiglia. Maturò un carattere inquieto e ribelle, trascorse
un anno di formazione a Parigi, poi
rientrò negli USA, dove, grazie alla sua bellezza fredda ed elegante (direi
alla Grace Kelly) divenne una famosa
modella (1927). Le sue immagini
apparvero su Vogue e conobbe famosi
fotografi, tra cui Edward Steichen.
Decise di tornare a Parigi per
diventare fotografa essa stessa e, con una lettera di presentazione di Steichen, andò da Man Ray, grande fotografo e artista surrealista. Divenne sua
modella, amante ma soprattutto allieva. In breve acquisì una grande tecnica
fotografica e contribuì in modo determinante alla realizzazione delle “solarizzazioni” immagini ottenute in
camera oscura con particolari tecniche di sviluppo e stampa, che conferivano
alle stesse un aspetto quasi di disegni luminosi, con una surrealista ambiguità
della rappresentazione. Attraverso Man
Ray entrò in contatto con quel mondo artistico e culturale: Cocteau, Picasso, Max Ernst e
tutto il gruppo dei surrealisti (il
manifesto del movimento era uscito nel 1924).
Aprì nel 1932 un suo studio,
continuando anche l’attività di fotomodella. Le sue foto dell’epoca si
accostano a volte al surrealismo per la ricerca di rappresentare il lato
ambiguo del reale attraverso angolazioni particolari, giochi di specchi,
deformazioni, sovrapposizioni di immagini. Si rifaceva alla famosa frase di Lautrémont, scrittore ottocentesco
considerato un precursore dai surrealisti: “Bello
come l’incontro casuale di un
ombrello e una macchina per cucire su un tavolo operatorio”. Anche le immagini
della Miller cercano spesso di
creare spaesamento attraverso incongrui accostamenti di oggetti. Ad esempio un
preservativo diventa una bolla trasparente, allargata da una mano femminile.
Comunque la Miller non frenava la
sua inquietudine e dopo poco tempo tornò a New
York per proseguire la sua attività di fotografa e modella. Anche qui il
successo non la fermò, tanto che, dopo un paio d’anni, sposò un ricco egiziano
e si trasferì con lui nel suo paese, realizzando belle foto del deserto e delle
Piramidi. Poi si stancò anche dell’Egitto
e del marito e partì per Parigi a
incontrare gli amici surrealisti. Conobbe il collezionista e artista Roland Penrose col quale, nel 1939, abbandonò definitivamente
l’Egitto, per andare niente meno che a Londra, allo scoppio della seconda
guerra mondiale. Qui riprese a fare foto di moda e commerciali ma documentò
anche i bombardamenti tedeschi (bella una foto dello scultore Henry Moore che disegna in un rifugio antiaereo). Poi si fece accreditare
dall’esercito americano come fotografa di guerra e finì in Normandia subito dopo lo sbarco, a documentare il lavoro delle
infermiere negli ospedali militari. Fu l’unica donna reporter di guerra assieme
ad un altro personaggio formidabile, Margaret
Bourke White. Si recò a Parigi liberata, dove incontrò i vecchi
amici, tra cui Picasso, e poi andò a
seguire le truppe americane in Germania, e fu il primo fotografo a entrare nel
campo di concentramento di Dachau.
Qui rimase sconvolta da ciò che vide e che documentò sia fotograficamente che
con un testo scritto inviato a Vogue
con una nota: “I implore you to believe this is true”. A Monaco, insieme al fotografo David Scherman, che la accompagnò in
tutto il lavoro durante la guerra, realizzò una foto entrata nella storia: si
fece ritrarre mentre faceva il bagno in quella che era stata una vasca usata da
Hitler, con gli stivali militari
infangati lasciati ai bordi della stessa. Non si fermò ancora, fu in Austria, Ungheria, Romania a
documentare l’immediato dopoguerra. Subì però un grave crollo psicologico di
fronte agli orrori visti e tornò da Penrose
a Londra e poi, con lui, negli Stati Uniti. La sua attività di
fotografa venne scemando e il suo ultimo contributo fu una serie di scatti a
vecchi amici, artisti come Max Ernst,
Dorothea Tanning e Jean Dubuffet.
Morì nel 1977, pe un cancro. La
mostra, con un centinaio di foto, documenta la bravura di una donna eccezionale
che ha avuto una vita eccezionale. Definire la sua fotografia surrealista mi
sembra riduttivo. Frequentò molti generi, anche se la lezione di Man Ray fu sempre presente nel suo
lavoro. Lo stesso Man Ray, peraltro,
realizzava ritratti, foto di moda, così come fece Lee Miller, aggiungendo a questi i reportages frutto della sua vita
avventurosa. Quindi, non solo fotografa surrealista ma grande fotografa a tutto
tondo.
SAURO
SASSI
SURREALIST
LEE MILLER
PALAZZO
PALLAVICINI VIA SAN FELICE 24 BOLOGNA
FINO AL 9
GIUGNO
APERTO DA
GIOVEDI’ A DOMENICA DALLE 11 ALLE 20 (CHIUSO LUNEDI’, MARTEDI’ E MERCOLEDI’)
BIGLIETTO DI
INGRESSO 14 EURO
RIDOTTO A 12
DAI 6 AI 18 ANNI, OVER 65, STUDENTI FINO A 26 ANNI, SOCI TOURING. EURO 9 CON
TESSERA BOLOGNA WELCOME E BOLOGNA CARD MUSEI
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OCCASIONI IN CUI I PREZZI DI INGRESSO (ECCESSIVI) VENGONO RIDOTTI. PER
INFORMAZIONI: 3313471504 info@palazzopallavicini.com
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