di Vincenzo Jacovino
Ci sono libri che si acquistano senza leggerli subito ma si tengono vicini, a tiro di scoppio. Restano lì per anni attendendo pazientemente d’essere presi e letti o, almeno, sfogliati. Altri sono acquistati sotto la spinta della curiosità letteraria però la lettura, sovente, è faticosa, rallentata quanto non noiosa e allora si accantona a metà lettura se non prima. Per un lettore, come lo scrivente, che dalla lettura va alla ricerca di stimoli intellettuali, curiosità e scoperte letterarie abbandonare a metà dell’opera un testo genera delusione e, fors’anche, malinconia oltre al malumore che l’interruzione, normalmente, insinua.
Scrive Elias Canetti a proposito: “Quante letture ci si risparmierebbe, se si conoscessero prima gli scrittori.” Proseguendo, si chiede: ”Tutte le letture?”. No di certo, perché ci sono libri che richiamano a sé, non con le fanfare e i fuochi d’artificio ma con discrezione, i loro lettori e Storia della mia gente, edizioni Bompiani di Edoardo Nesi è uno di questi.
Il titolo nella sua icastica semplicità già prefigura il personale coinvolgimento, il confondere il nostro io con le cose e le persone “altre”. Nesi, narrando la sua rabbia e il relativo amore della sua vita (da industriale di provincia), ha messo in gioco la propria fisicità attraverso un linguaggio diretto tanto da istaurare con il lettore un filo immediato di reciprocità riguardo a sensazioni, emozioni, evocazioni. Anche se i più umili ricordi possono diventar poesia non sempre però diventano poesia le tessere memoriali della propria vicenda umana, ma il Nesi ha una precipua capacità di mutare in poesia le personali tessere memoriali. Il disagio, lo straniamento della nuova condizione di vita: (“Nemmeno per un attimo pensai che, venduta l’azienda, sarei rimasto senza lavoro”) cresce, di giorno in giorno, al punto di intorbidirlo e, a ogni risveglio, quel che si ritrova accanto è sempre un mucchio di macerie e la rabbia che, sta lì per esplodere, si acquieta con il grano proveniente dalla sua gioventù così colma di memorie culturali.
C’è una felice commistione tra il racconto autobiografico e il trattato socioeconomico che si realizza attraverso un linguaggio qui, secco ma avvincente lì, appassionato ma chiazzato da frequenti sprazzi di onirica surrealtà. Anche se l’io dell’autore è presente in ogni pagina, anzi in ogni riga, il lettore è in continua condivisione con le immagini, le cose, i problemi e i forti sentimenti, nel bene e nel male, descritti dal Nesi. I giovani lettori, e non solo loro, possono materializzare, forse finalmente, quella che è la dolorosa delusione di aspettativa subita e, probabilmente, continueranno a subire, ossia: “l’illusione perduta del benessere diffuso” per le odierne generazioni e le future.
Quali le cause? Molteplici e richiederebbero altri approcci analitici che, comunque, esulano da questo contesto.
Storia della mia gente ha espletato un compito di un peso di non poco conto, quello di transitare lo stato di disagio, di spaesamento nonché di rabbia in merito alle condizioni e/o situazioni sociali dei giovani, dei quarantenni e oltre. E’ l’intero corpo sociale, purtroppo, che vive in queste condizioni.
Storia della mia gente non è il diario di bordo di un industriale di provincia ormai alla deriva, ma è il diario esistenziale di bordo di una generazione che, transitata dal vecchio al nuovo secolo, non vede approdo alcuno.
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