José Lezama Lima
poeta adolescente
Inicio y escape (1927 – 1932)
Inicio y escape (1927) sono le liriche di un poeta adolescente, che José Lezama Lima (L’Avana, 1910 - 1976) non ha mai pubblicato in vita, ma che il ricercatore Emilio De Armas, curando l’edizione completa delle opere del poeta, ha reperito e incluso nel corpus integrale. Inicio y escape si trova soltanto nell’edizione definitiva (Editoriale Letras Cubanas, 1985), pubblicata dieci anni dopo la morte del poeta, preceduta da una prefazione firmata De Armas e da un armamentario di note a margine che servono a spiegare la genesi dei testi.
“La copiosa collezione di carte lasciata da Lima basta a soddisfare ogni appetito dei ricercatori”, dice De Armas. Sono stati ritrovati i manoscritti originali di Paradiso e di Oppiano Licario (incompiuto), le poesie di Fragmentos a su Imán, copiati su un quadernetto lungo e stretto, le minute dei saggi, appunti sorprendenti, molte lettere ricevute da grandi intellettuali del Novecento. Tra queste carte troviamo la storia della letteratura cubana del Novecento e straordinari inediti firmati José Lezama Lima - a volte José Andrés Lima, come amava fare -, soprattutto ci sono poesie mai lette e pubblicate. Le liriche di un Lima adolescente sono importanti per capire la formazione intellettuale di un grande scrittore e sono state ritrovate in un quadernetto con la copertina di colore rosso scuro. Nella prima pagina appare la data 1927, mentre nell’ultima cartella notiamo l’anno 1932. Tutto il lavoro compiuto da Lima da 17 a 22 anni sta in un gruppo di acerbe carte - intitolato Compositions - che contengono in nuce elementi di futura grandezza. I testi più interessanti sono 21 poesie trascritte sotto il titolo Inicio y escape, oltre a minute, tentativi di prosa, frammenti di poesie e di racconti meno interessanti. Inicio y escape ci avvicina all’adolescenza del poeta, che non volle mai pubblicare i testi, dal momento che aveva un critico dentro di sé - come amava dire - che metteva da parte le cose meno riuscite. Sono testi classici, meno originali e complessi di quel che il poeta sarà capace di comporre in età matura, influenzati da Garcia Lorca e dagli studi classici, ebbri di intimismo, avanguardismo e di poesia pura. Hanno il pregio della comprensibilità e dell’immediatezza, arrivano a ogni lettore, cosa che Lima perderà nelle sue opere più celebrate. Molti lavori di Lima non sarebbero conosciuti se Emilio De Armas non avesse avuto libero accesso ai cassetti dello scritto. Per questo dobbiamo soltanto essergli grati, perché a nostro giudizio certe liriche di Fragmentos a su Imán e di Poemas no publicados en libros sono tra le cose migliori che Lima ci ha lasciato. Vediamo alcune liriche adolescenziali, tratte da Inicio y escape.
(Gordiano Lupi)ù
Quando se ne
va,
io la guardo.
Quando viene
allora scompare.
Juan Ramón Jiménez
La stella
I
La stella
si sta bagnando nel fiume, punta dopo punta,
si uniscono le sue punte, si fondono i suoi ori.
Nel suo ondeggiare
l’ombra che si scioglie nella spugna sottomarina,
possiede un raccolto clamore.
Acqua e autunno,
chiarore inutile che macchia il cielo;
la supplica dell’acqua, l’albero senza virgulto.
La trasparenza
affrettata della brezza nascosta - oro di tre lune -
scivola via su fedeli finestre.
La foglia
fugge via nel fazzoletto del vento;
nel fastidio del sole sbadiglia una foglia.
Stella, acqua, autunno e foglia;
meditazione,
unzione serena.
II
Braccio a braccio, amore e clamore
non hai visto mai, Signore.
La traiettoria del silenzio
è compiuta; aumento di silenzio,
(gran clamore di realtà).
Il vento raccolse il pulviscolo
e si perse il clamore
l’anima si gonfiò di silenzio
e si fuse nell’Anima.
Mistero della negritudine?
Spavento del silenzio.
Lo sperone si fissò nella brezza,
gonfia di aromi freschi;
e la brezza fu più lenta,
furto d’ansie, tra gemiti e pianto.
Braccio a braccio, amore e clamore
non hai visto mai, Signore.
1927
Rotta incerta
Sprofondato
nella sera che mi guida;
abbandonato
alle voci ebbre
di
grazia. Mi feci più sottile,
perdendomi
nel vento lieve;
che
mi portò lontano, lontano.
Cancellate
le prospettive praticabili,
fuggite
nell’ansia irrefrenabile;
immateriali
ansie, dimentiche
dei
richiami della terra.
Continuai
la mia rotta, inalterabile,
madide
le pupille di sole,
di
astri, di stelle.
Ubriaco,
albeggiai, di stelle;
tendevo
la mano insicuro,
lungo
percorsi inesplorati.
Voci
amiche indagavano la rotta.
Lontano,
lontano…
1927
La tua voce
Allegria
dei silenzi penetranti,
che
consacrano l’anima di domande inquietanti!
La
voce divenne impenetrabili pieghe,
fosca
al guscio dell’anima;
che
si diffuse setosa,
nel
guscio gigante della notte.
Tornò
rapida verso il centro,
quasi
invisibile punto;
evocando
le divine
domande
del povero.
Chiaro,
chiaro, come frammento del giorno,
fissato
in una pupilla desta,
il
silenzio fatto catena,
s’incatenò
con l’infinito aperto.
Allegria
dei silenzi penetranti,
che
consacrano l’anima di domande inquietanti!
1927
Io già lo sapevo
Come
un’ala perduta
-
era la notte intensa da mille voci ferita -
apparisti
(io già lo sapevo che una notte
si
sarebbe rotta l’ala sulla fronte ferita).
Nella
mattina
-
identico risplendere in oro teso -,
la
tua chioma era puro mattino,
nel
profondo tremore delle luci.
Esiste
specchio che copi la chioma
tinta
d’oro splendente, raggio del mattino?
M’immersi
in te,
avvolto
nel cerchio
del
tuo oro duttile
-
oro e bracciale -. Tutto
era
oro nel puro mattino.
Io
già lo sapevo che una notte
si
sarebbe rotta l’ala sulla fronte ferita.
1928
Al silenzio dell’acqua
Canzoni
dell’acqua salata,
inerpicata;
sopra la roccia allungata.
Acqua
fredda, silenziosa.
Taciturna
si va stiracchiando
(un
filo di tre colori
si
vede nell’aria specchiando).
Acqua
dal volto di luna
malata
e tiepida. Scorreva cancellando
le
lettere dalla rena.
Impadronirsi
del filo dei tuoi colori
dei
solchi dell’acqua.
Luce tesa l’acqua
nel
filo; si sta asciugando
al
Sole. In questo l’acqua
è
molto simile al fazzoletto
e
alla calza di qualche piccoletto.
Canto
dell’acqua condotta
a
morire. (Uno si sente come
acqua
appesa al filo
di
tre colori per morire).
Acqua
che solo sa morire.
Discrezione,
chiarezza.
Morte
del galoppo.
Acqua
che solo perfora se stessa.
È
il grido che cade
spezzato
da un fischio?
Non
è la piega dell’astrazione
acqua
del silenzio
dal
solco d’un filo biondo?
Acqua;
filo
di tre colori:
discrezione,
chiarezza, astrazione. (1928)
Si esaspera il galoppo folle,
del vento trasfigurato, tutto immerso in te?
La caravella. Tutte le vele aggredite
da schiuma. Naufragai, diretto al sole,
un poco di sole e un mucchio di terra, con le mie ansie sfuggite.
Sul fiume dipinto di colori opachi
- occhio color oltremare - vola e ruota
una pioggia di cenere soggettiva, tutta rubata
all’ultimo inganno intimo, fuga d’intimità.
Non vedi nell’oro brunito, pescatore di colori,
ponti di salvezza, balzo dopo balzo il tuo sole
che s’inarca e spezza con sguardi di saetta?
Nel ruotare d’una visione cinegetica,
condotto - quanti Km all’ora? - verso la tua dolcezza;
devo - per fortuna o per dolore ? - sfuggire
il paesaggio - falso e splendente, da romantico;
e come dono tu brindi all’incauto: cielo, mare, nube.
Giorno e chiarezza rapida, giorno e chiarezza
invoco. Telegrafica semplicità
di poeta estremista. Non chiedo girasoli.
desidero solo la gran semplicità del rivolo d’acqua fresca.
1928
Ragioni del tedio
I
Lunghe foglie di tedio concentrato,
ago e quarto di luna; danza la trottola d’acqua e seta.
Un sigaro dopo l’altro,
senza sosta.
II
Dolcezza tenera dell’acqua calda;
dolcezza aspra e curva della fredda, fredda;
nell’acqua fredda, accaldata si gettava;
dopo si mostrava fredda, calda.
III
Erano una scusa lo zampillo e il pianeta,
- tutti pensavamo di sfuggire -.
Lacrime di porcellana, fianchi lunari;
finì per assopirsi lo zampillo, rimase immobile il pianeta.
IV
Tutto era, ma non cinema;
e l’acqua saltava, saltava.
Bianco e verde, nero verde.
Tutto era, ma non acqua.
V
Percosso forte ai fianchi
virava con forte entusiasmo;
pura unità algebrica.
Ritornava senza pena né entusiasmo.
VI
Le mani raccolte, dopo la danza;
profondo pianto di cultura.
L’unità s’impose tiepida:
mani incoscienti lanciano dal cielo.
VII
Mi sentii polline, incompleto;
senza medaglia, senza moneta;
custodivo, rotonda e colorata in tasca,
Nostra Signora d’Ecumene.
VIII
Mi congiunsi a te, senza te;
solo soletto, sentii e tornai.
La mia etichetta:
chicchirichì.
IX
Immersi nella passione i santi riposano,
e subito dopo gli altri.
Piangeva la terra e il mare s’arenava;
santo profondo: la passione riposa.
X
Cerino inutile,
tutto sfuggito in un lamento.
Nuova torcia nelle labbra.
Cerino inutile!
1929
Ombra ferita. Pellicola
Disfatti fili senz’ombra
spezzano le loro acque senza suoni;
tagliano i suoni dorati,
fili condotti senza braccio e sogno.
Il flauto è ormai privo d’ombra,
i suoi verdi bracci si estinguono,
inseguendo occhi pulsanti,
traboccando in fiumi di pioggia.
La nebbia e gli scacchi
non intendo ricordare.
(Bambini d’azzurro e mito
portano indaco marino).
Ombra, flauto, pettine,
bambini, bambini e tamburo.
L’ombra ormai sbiadita
raddoppia le sue risa argentine.
Si muove già l’avellana,
ferita da lumache bambine.
Si stan portando furtive
verdi ire di lampadine,
e la mela versata
retrodata il pensiero.
Bambini ormai privi d’ombra,
dedicano tre lacrime.
Tesori. Ormai la sorpresa
è morte. Tesori, senza teoria;
sorpresa di rami bruciati.
Sotto il braccio bambino,
vassoi che portano sogni;
sotto, ormai privi di vassoio.
Adesso è tutto un getto di pianto.
Si conficcano sette pugnali;
si mordono sette sorprese;
restano tali solo le spiagge,
spiagge di vita senza bambini.
Vattene ombra di doppiezza,
dammi i pettini dorati;
becca il tuo filo senza verde,
inchioda l’ombra alla tua porta,
porta l’ombra senza balzo.
Sette pugnali affumicati,
allegri di voce concentrica,
portano grigi tesori.
Sette principesse piegate;
sette pugnali bruciati.
Mano e nichel
I
Come nella tua voce nichelata
il tuo messaggio, oro e luna;
come tutte, quale nessuna,
va la tua diana inerpicata
sopra l’aereo di tre lune.
II
La tua mano e il tuo fiume lento;
gli arpioni bruciati.
E sul teso cemento
i persei trafitti
con gli scacchi, al vento.
III
Con pioggia umile la spiaggia;
pesci dal pugnale sopraffino
foglie d’argento nel pino.
Il vento non s’incaglia
né passa per la gola il vino.
IV
E la schiuma senza timone.
Andare freddo senza curve;
albe in camicione,
folle di grigie ricurve
perde la sua perdizione.
V
Senza conchiglia, pioggia, nichel;
senza spiaggia dai forti denti.
Lei nella sua statua di lui.
Sibilo d’angeli battenti
inchiodano fette di gelo.
VI
Proteggi la barca e il tritone,
circondato di pesci serpente;
e che d’estate sia presente
la scacchiera di cartone.
Curo tu non sia concorrente!
VII
La conchiglia centra le frecce,
punto dorato senza miele;
piume di note già fatte
ritagliano ferite senza fiele
e nenie contraffatte.
VIII
Morettina, dammi un contorno;
dividi la tua aranciata e le tue lune.
Non dividere, no, il tuo ritorno;
che sopra un bilione di lagune
volano insetti qui attorno.
IX
Il parasole, parola di lumaca,
madre di tutte le tartarughe.
Sulla tisi dello zampillo,
le lucciole espurga
lo sciocco arciere.
X
La smorfia piena d’alga;
lo zampillo portatile.
Voglia l’angelo che tu salga.
Sul tendine vibratile
senza piedi gli ori salti?
Polare
Punta di lungo guanto e lungo gelo
trattengono orbite in ricurvo allarme
e punte d’infime strie grigie di cielo,
dove il mare vegetale i suoi freddi riversa.
Nego fiumi di sughero senza pressione d’ali,
bussola d’onde con cravatta lenta;
prigione dorata per il bimbo cieco,
che aggira angoli e naviga la menta.
Arpionato, accigliato, morto,
- pugnale d’acqua con risa e penna -
vaso di neve di color aperto,
che, doppia risa porta esito grave,
in alto, spaccato, tenue più che luna.
Non t’inquietare, fidanzata d’ogni porto!
Dicembre 1930
Madrigale
Lo specchio, così silente, mi dice, che ora posso partire.
Uno sguardo ancora e mi porto via l’immagine fissa;
per questo cammino con cautela.
Una volta a settimana, durante le vacanze,
mi avvicino, mi porto via specchio e luna.
Adesso arriva quel che attendi:
chiaro, 40 anni o molta ipocrisia.
Il rametto di fiori, accaparrato un bianco biglietto,
di quelli salutari, che conservano la saliva.
Ora vado. 20 minuti, in attesa, e sudore.
La scatola di cioccolatini, o i fazzoletti di seta,
che coprono il Coty. Che vecchio! Che tonto!
Una scatola di sigarette turche o uno scelto bastone:
leggermi bene sul giornale i giochi di ieri,
per sussurrarteli; l’attenzione è solo un pretesto
e tu guarda bene prezzo, marca e profumo;
sapere il tuo prezzo. Tutto è uno ed è lo stesso.
Ero così turbato che sbagliai tram.
Gennaio 1931
Lezione
Specchio sdoppiato e vassoi feriti.
(Tre momenti e la sua frangia di luna).
Lunghe
risa, violetto e bandiera,
nella
brezza lieve, corrono e vanno,
risa,
risa lunari,
porterà
tra le sue braccia di fornaio lunare.
Uno spadone con alghe, fisso e delineato,
accarezzava la sera di limone e ipocrisia.
Ripassa
la lezione.
E la
voce si accentuò nella sua voce.
Era il
momento immenso:
tre
dolori, due dolori, un dolore.
Un fiume vegetale, infossato e scavato,
per svago bagnava i suoi pesci e pompelmi.
Colpi
di ronda spiata,
perdevano
acqua e sale.
Olive
gitane,
metà
corallo, metà lunari.
Stelle di brina con cappuccio violetto,
alzavano un teorema, una chiocciola, un Carlomagno.
1931
Lunghi uccelli bianchi nella sua mano guantata
Lunghi uccelli bianchi nella sua mano guantata,
con la sua poca ombra, di filo, di miele;
la sua parrucca d’alga, la sua cintura cornuta,
conservano la presenza d’un candore di carta.
Se n’è andata; la sua presenza, un sibilo,
l’annuncia tra gli aridi venti;
percuote l’ombra il suo battito,
decifrando le sue cosce ingabbiate.
Oh, che ronzio si posa nelle mie orecchie cotonate
quando ci colpiscono le loro nevi invitate
in un’alta marea rigonfia di pesci ingrassati.
La spezzarono senza freddo, due ampie sculacciate
tra Preziosa lenta e il suo levriero; stanchi
si apprestano ad aggredire fanciulle disprezzate.
1931
Giardino
Tavoli d’eleganza, d’acqua senza zampillo;
corteggiatori dal manto nero e bianco;
flauto silvestre in pettini e violini;
braccio puro, lungo, giallo.
Un mucchio di stanchi sibili,
trombette e limoni.
Balconi altissimi e freddi,
nella stanza ebbra di fumo.
Vento inutile, annerisce l’occhio e l’argento,
corre sul vento verde;
sul gatto bianco, sul gatto nero,
un abbecedario lento, cenere.
L’acqua sobbalza tra i sugheri
distesi, con le reti e le mani negli occhi.
Funerali di reti, remi, conchiglie, alghe;
si sollevano baci e lenzuoli.
Mani in acqua, pesci nella mano;
sintassi e luna ritirano stremato il loro suono.
Si calmano biondi fili tiepidi,
penne e squame, due a due.
Non guardo una conchiglia,
un braccialetto, un colore, le labbra;
accompagno i suoi passi nudi,
ferite nella neve, giunchiglie e vasi.
Omaggio. Colpisci a tuo
modo
la schiuma indomabile che ricrea le mani;
con muto arcangelo e schiuma di colombe,
si stagliano le brezze alzate con i loro bimbi.
Assopita tra noi e distesa
in un subisso di lingue pulite.
Si assottigliano le alghe sotto il sole.
Riposa tra noi.
1931
Arriva la definizione
Quale neve, fuliggine e cigno, le sue lacrime di pura alba
fa sbocciare dai mandorli avvolti da tenera luna,
per gli innamorati.
Ci sono le stelle; però l’argento annega, quotidiano, altissimo.
Dietro, lungo un fiume senza squame, venti mani d’argento.
Che pesci di miele attraversavano la sua mano,
ferita da giochi di freccia e rotondi rumori!
Giunco di cigno, in gocce, sulla pelle.
Schiume sulla santità delle pareti di calce,
stendevano la pelle fatta di suoni massacrati,
da un metallo che supera il suono.
Che dimensioni così tiepide sulle mie spalle!
Mentre partiva il rumore, chiudevo le mani.
Lo lasciai partire a sprecare l’estate.
In un tumulo di lire e flauti: la Definizione.
1931
Piccola ode a Víctor Manuel García
Con gli occhi protetti da assorbenti violette, un alto toro soave
offre un saluto, un gelido fiore in cerca d’un punto.
Flauti, caramelle e metalli disposti in un bosco ricurvo
di cavi. Un bicchiere d’acqua fresca e tre gocce di limone.
Le dame s’impadroniscono feroci dei porticati.
La cenere si gonfia e applaude, ma in realtà non esiste.
C’è un solo guanto bianchissimo nella coda della sirena gravida.
Gli alberi e il paesaggio, pulendo la sputacchiera, scagliati dal
cameriere nel
mare.
Laringi di ampio argento ritagliano sogni e monete.
Quattro pareti di calce ascendono senza portare gatti e niente di
giallo.
Un grido decade rapido ghigliottinato da sette coltelli,
restano sette sfere assorbenti per occultare forbici e ditale.
Miscele esplosive. Un arco sottile termina dove non ci sono
meteore.
Le palme e le felci si stagliano come colonne corinzie.
Cercano il cesto, dal quale fu bandito il pompelmo,
nell’alto cielo angolare quattro cembali con i loro angoli.
Dicono che là non ci siano monumenti, né geli, né alghe. E le
linee
raccolgono, distinzione ingannevole, attraenti profili.
La musica si ascolta con un orecchio, ben tiepido, tra cotone e
piume di clarini.
I flauti sono tutti custoditi nello scrigno dell’Altissimo, dove
non
albergano rumori di fallimento.
Le braccia non si tendono all’infinito, ma verso la prossima
fabbrica
di chincaglieria.
Il mare sembra catturato da una cintura, dove non troviamo
gabbiani e mieli,
e la sola cosa che l’occhio scamosciato percepisce è un’altra
cintura dentro una città.
Il cavallo odora un’orchidea d’alluminio e mette in fuga le api.
Gelida tuberosa, gelido mandorlo ascendono; le nubi si affrettano
furenti.
Una danza di capretti guadagna, con compassi d’argento,
posizioni invidiabili.
Alla nebbia si rompe lo specchio in un bilione di specchietti,
e un marinaio astuto trafigge con una freccia le sue tempie,
togliendole ogni speranza di vita.
Oh, che pennelli minuscoli per labbra che gustano la mela
cotogna,
e che muscoli non di foglie ma dipinti con zafferano!
Presagivano il quadro sinottico e le sfere armillari
giavellotti d’oro, pettini e teorie sul cavallerizzo senza fumo.
Oh, Víctor Manuel García,
conestabile dell’Hotel Profumo.
Un mostro d’alghe divora merletti e seta tornasole.
La Vergine Maria, tra giunchi e canne, percuote
e incoraggia figli spettinati pettinandosi con un compasso da
Geometria.
1931
Inquieto al mattino, zampillo niveo
Inquieto al mattino, zampillo niveo
di dolcezze, con mano ferma ti alzavi.
Che volteggiare di lenzuola e cosce tra le lune!
Inquieto, minuto lanciatore,
corpo e carne, tomba dal profilo incerto;
inserito con toni lievi, udito pieno,
percorre le persiane tutta la mattina.
Sette gigli, sette stelle, lenzuola ormai anguste,
custodivano la tua presenza quando affrontavi la mattina.
Musica, braccialetto e neve restavano sulle persiane.
Il lenzuolo si cullava e si attorcigliava al tatto.
Ah, la mattina lenta e intatta tra occhi e mani!
1931
La sua presenza si perdeva,
e risuonava
La sua presenza si perdeva, e risuonava
girando neve in aloni sopraffini;
cosce e conchiglie scioglieva
nel carcere senza rete dei delfini.
Aranciata e corallo della sera compitava
volteggiando, labbra percuotono parte di confini.
Una conica carambola decretava
nero di piuma e pioggia di clarini.
Specchio impagabile, intatto, cresceva
nell’erica senz’aironi delle sponde,
che gran somma di bagnanti riceveva.
Grave, sul bordo di se stesso, fremeva
su carne di specchio che risplende,
signore del volto e del sogno, diventava.
Luglio 1931
Tramonto
Tramonto,
a sud della rosa resta un uccello prigioniero.
Tramonto,
le arance scivolano sulle spalla del bimbo.
Tramonto,
nel palato una danza di coltelli d’argento.
Tramonto,
le cosce combattono, un arco di luna, con due onde.
Tramonto,
un freddo buon sospiro penetra la sera, avanti e indietro.
Tramonto,
nella neve senza neve cavalieri plumbei, soffici d’alghe, senza
neve.
Adesso muoio!
Luglio 1931
La mattina che non è mia
I
La mattina, che non è mia,
mi restava dentro. Non solo,
la tua neve, capirai
nella fonte che fugge
le forme del mondo; si scioglieva
un desto tatto impagabile,
che presagiva di restare;
sulla seta nascosta,
si perde. Sorpresa.
Adesso non è ora di guardare.
II
Cortesia senza grazie. Risa.
Gocce. Nei pizzi, stemperati
in arco, sera e lune inquiete,
mosaico e corallo scivolano,
impossibile dire che calpestano.
Non labbra di angeli: amore.
In ogni braccialetto il chiarore
che procede verso alcun delirio;
guida mia, guida, sollievo
che circonda la tuberosa dell’amore.
III
Airone, giunco che salta, seme
d’acqua in giro d’ametista
calza. Che il vento si svesta
negli specchi; architettura semplice
in duplice fastidio, brilla
nella sua presenza; non scivola; resta.
Profilo concentrico vieta
respiro neutro, gelo galante,
nel suo angolo o avorio piegheranno
gli istanti, sogno, seta.
Luglio 1931
Tradotto
1 – 28 ottobre 2015
FINE
IL TRADUTTORE
Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2003), Vita da jinetera (Il Foglio, 2005), Cuba particular – Sesso all’Avana (Stampa Alternativa, 2007), Adiós Fidel (Il Foglio/A.Car., 2008), Il mio nome è Che Guevara (Il Foglio/A.Car., 2009), Mister Hyde all'Avana (Il Foglio, 2009), Il canto di Natale di Fidel Castro (Il Foglio, 2010), Caino contro Fidel – Guillermo Cabrera Infante, uno scrittore tra due isole (Il Foglio, 2014). I suoi lavori più recenti di argomento cubano sono: Nero Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica – conversazioni con un santéro (Mursia, 2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi, 2004), Orrori tropicali – storie di vudu, santeria e palo mayombe (Il Foglio, 2006), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (Stampa Alternativa, 2006 - ristampa aggiornata Acar, 2014), Avana Killing (Sered, 2008 – in edicola), Mi Cuba (Mediane, 2009), Sangue Habanero (Eumeswill, 2009), Una terribile eredità (Perdisa, 2009), Per conoscere Yoani Sánchez (Il Foglio, 2010), Fidel Castro – Biografia non autorizzata (Acar, 2011). Ha tradotto Cuba libre – Vivere e scrivere all’Avana, di Yoani Sánchez (Rizzoli, 2009). Ha curato dal 2008 al 2014 il blog di Yoani Sanchez - Generación Y per conto del quotidiano La Stampa all’indirizzo www.lastampa.it/generaciony. Ha pubblicato una biografia narrativa di Yoani Sánchez: In attesa della primavera (Anordest, 2013). Ha tradotto La ninfa incostante di Guillermo Cabrera Infante per Minimum Fax/Sur (2012), La patria è un’arancia di Felix Luis Viera, Fuori dal gioco di Heberto Padilla (2011) e Il peso di un’isola, opera poetica di Virgilio Piñera. Nel 2012 è uscito un suo lungo capitolo in un saggio scritto insieme a quattro autori cubani dell’esilio, El otro paredon, sulla situazione cubana edito in USA, in inglese e spagnolo. Nel 2014 è uscito il romanzo Calcio e acciaio - dimenticare Piombino (Acar), presentato al Premio Strega. Nel 2015 è uscito il romanzo breve Miracolo a Piombino - Storia di Marco e di un gabbiano (Historica). Altri romanzi: Sogni e altiforni (presentato al Premio Strega 2018). Sito internet: www.gordianolupi.it - mail: lupi@infol.it.
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